Conclusa la 18ª edizione: sul giornalismo d’inchiesta non ci devono essere frontiere
a cura di Alessandra LEARDINI
C’è una cosa che chi ha voluto per sempre mettere a tacere Ilaria Alpi, quel tragico 20 marzo 1994, non è riuscito a sopprimere. È la voce dei tanti giornalisti che oggi continuano a indagare sugli scandali e le ingiustizie che l’inviata Rai sarebbe stata a un passo dal rivelare se il suo microfono e la telecamera del suo operatore Miran Hrovatin non fossero state spente per sempre quel giorno, a Mogadiscio. Anche quest’anno il Premio Ilaria Alpi, da poco concluso a Riccione (6-9 settembre), ha dato risalto all’impegno e al coraggio dei tanti cronisti che nel fare informazione, non si accontentano di raccontare la superficie dei fatti. L’inchiesta che non muore e che non si ferma nemmeno di fronte alla censura, è stata dunque la vera protagonista di questa 18ª edizione dell’evento organizzato dall’associazione Ilaria Alpi, accanto a temi d’attualità come le mafie, le stragi ancora irrisolte della storia italiana, la crisi economica e il conflitto in Siria. A rappresentarla sul palco riccionese, i vincitori del concorso e alcune delle migliori firme del panorama italiano e internazionale.
L’inchiesta che non muore
Uno degli ospiti di spicco è stato Paul Moreira, documentarista francese arrivato a Riccione per presentare il reportage Toxic Somalia e tenere un seminario di formazione per i giovani giornalisti che in questi quattro giorni hanno approfittato dell’evento per apprendere i segreti del lavoro d’inchiesta. Nato a Lisbona nel 1961, dopo aver lavorato per Radio France International, France 3, Liberation Magazine e Canal Plus, Moreira ha fondato un’agenzia di produzione indipendente, Premières Lignes. La sua inchiesta sulla Somalia riprende il lavoro di Ilaria Alpi sul traffico dei rifiuti tossici intervistando i pirati somali che accusano l’Occidente di sversare nelle loro acque questi pericolosi materiali, fino a documentare l’aumento d’infezioni e malattie, triplicate in 20 anni, e ricostruire i rapporti segreti tra il mondo degli affari e quello della criminalità. «C’è fame nel mondo di giornalismo d’inchiesta, e Ilaria Alpi è un grande punto di riferimento – afferma Moreira -. Ilaria non ha mai rinunciato ai suoi progetti. Forse è per questo che anche dopo la sua morte in tanti hanno portato avanti il suo lavoro. Sul giornalismo d’inchiesta non ci devono essere frontiere».
L’inchiesta che non ha epilogo
«Non solo abbiamo portato Moreira a Riccione, ma abbiamo anche voluto premiarlo con una menzione speciale per il suo lavoro sulla Somalia – spiega il direttore del Premio Ilaria Alpi, Francesco Cavalli -. Anche se partita da un percorso diverso, l’inchiesta di Moreira è arrivata inevitabilmente sulle tracce segnate da Ilaria e Miran e portate avanti in questi diciotto anni da altri giornalisti». La stessa associazione Ilaria Alpi, attraverso l’impegno di Cavalli e di un gruppo di reporter amici come Luciano Scalettari, si è recata in Somalia tra il 2005 e il 2007 per indagare sulle piste di rifiuti tossici. «Forse un epilogo, per questa inchiesta non ci sarà mai», commenta il direttore del Premio. Al contrario, si spera di poter arrivare presto a una conclusione sul caso Alpi-Hrovatin. Anche questa edizione, aggiunge Cavalli, è stata utile per riportare alla ribalta il duplice omicidio, oggi a un punto morto. «C’è un procedimento che è aperto e il cui esito potrebbe portare a una svolta importante – sottolinea -: è quello avviato per calunnia nei confronti di Ali Rage Hamed detto Gelle, l’unico accusatore di Hashi Omar Hassan, oggi in carcere». Se questo teste ribadisse di aver dichiarato il falso (ha già detto di averlo fatto su richiesta di qualcuno), «si riuscirebbe a dimostrare quello che l’associazione Ilaria Alpi e chi ha sempre voluto la verità sul caso, sostiene da tempo: che Assan è solo un capro espiatorio». L’appello dell’associazione è che questo cittadino somalo torni in Italia a dire la verità.
I vincitori
I traffici illeciti, il sovraffollamento delle carceri, gli ultimi criminali nazisti, l’Ilva di Taranto e la camorra sono i principali temi trattati dalle inchieste premiate quest’anno. Sui rifiuti tossici che partono dall’Italia per arrivare in Cina, dove vengono lavorati e riutilizzati nella fabbricazione di giocattoli poi venduti in tutto il mondo, verte Spazzatour di Emilio Casalini (Report), miglior reportage breve. Il premio al miglior servizio da tg va a Giulio De Gennaro del Tg5, che in Caccia ai nazisti ha intervistato Werner Bruss, responsabile dell’eccidio di Sant’Anna di Stazzema. Sulle condizioni dei penitenziari italiani indagano altri due servizi vincitori: Fratelli e sorelle di Barbara Cupisti (Rai 3), miglior reportage lungo, e il racconto su San Vittore di Alessandro Hielscher (Tg2), premio Miran Hrovatin riservato ai tele-cineoperatori. Gli altri vincitori sono Emiliano Bos e Paul Nicol della RTV Svizzera con Mare aperto, storia d’immigrazione e disperazione di un gommone alla deriva; Lucia Portolano della salentina Telerama (tv locali) con Mesagne e la Scu, sulle tracce della Sacra Corona Unita; per le Web Tv Attilio Bolzoni di Repubblica.it e Claudio Papaianni e Andrea Postiglione (Espresso) con due lavori sulle infiltrazioni della malavita; Massimiliano Cocozza (inediti) con un’inchiesta sull’eroica lotta delle persone affette dalle malattie neoplastiche. Il Premio della critica è andato a Alessandro Sortino e Lorenzo De Giorgi di Piazza Pulita con Schiavi del lavoro; il premio Unicredit per la libertà di stampa alle siriane Hanadi Zahlout e Yara Bader; il premio alla carriera a Nuccio Fava.