Nulla rimane, purtroppo, delle opere realizzate nel capoluogo lombardo dal maestro toscano, al termine della sua carriera. Ma questa Crocefissione parla proprio il linguaggio giottesco...

Luca FRIGERIO
Redazione

Quando nel 1355 giunse a Milano, chiamato da Azzone Visconti per decorare il proprio palazzo, Giotto aveva ormai quasi settant’anni. Nel capoluogo lombardo, come scrive Vasari nelle «Vite», il grande maestro toscano realizzò «alcune cose, che sono sparse per quella città e che insino ad oggi sono tenute bellissime». Di quelle opere, tuttavia, le ultime probabilmente portate a termine dall’artista, più nulla purtroppo rimane. Eppure nella chiesa di San Gottardo in Corte ancor oggi possiamo ritrovare almeno un’eco del soggiorno ambrosiano di Giotto. Enorme interesse, infatti, suscitò la scoperta, nel 1929, sulla base appunto del campanile di San Gottardo, dei resti di una grande Crocifissione che apparve subito di impronta chiaramente giottesca: un affresco che ora è sistemato all’interno della chiesa, dopo i restauri degli anni Cinquanta e Ottanta del secolo scorso. L’opera, mutila di tutta la parte superiore, in origine doveva presentarsi sfavillante d’oro e d’argento, sia nei bordi geometrici di contorno, sia nelle numerose rifiniture, nelle vesti e nei copricapi, resa ancor più luminosa dal fondo azzurro di lapislazzulo. Un’esuberanza decorativa che ben si intonava con la ricca ornamentazione della cappella palatina e che, nel dipinto, era sostenuta da effetti cromatici, da delicatezze di incarnati, da una costruzione di volumi ottenuti attraverso passaggi di colori: accorgimenti che dimostrano un grande interesse per il reale, seppur in chiave ancora gotica, oggi forse poco visibili ma chiaramente documentati dagli ultimi interventi. Quando nel 1355 giunse a Milano, chiamato da Azzone Visconti per decorare il proprio palazzo, Giotto aveva ormai quasi settant’anni. Nel capoluogo lombardo, come scrive Vasari nelle «Vite», il grande maestro toscano realizzò «alcune cose, che sono sparse per quella città e che insino ad oggi sono tenute bellissime». Di quelle opere, tuttavia, le ultime probabilmente portate a termine dall’artista, più nulla purtroppo rimane. Eppure nella chiesa di San Gottardo in Corte ancor oggi possiamo ritrovare almeno un’eco del soggiorno ambrosiano di Giotto. Enorme interesse, infatti, suscitò la scoperta, nel 1929, sulla base appunto del campanile di San Gottardo, dei resti di una grande Crocifissione che apparve subito di impronta chiaramente giottesca: un affresco che ora è sistemato all’interno della chiesa, dopo i restauri degli anni Cinquanta e Ottanta del secolo scorso. L’opera, mutila di tutta la parte superiore, in origine doveva presentarsi sfavillante d’oro e d’argento, sia nei bordi geometrici di contorno, sia nelle numerose rifiniture, nelle vesti e nei copricapi, resa ancor più luminosa dal fondo azzurro di lapislazzulo. Un’esuberanza decorativa che ben si intonava con la ricca ornamentazione della cappella palatina e che, nel dipinto, era sostenuta da effetti cromatici, da delicatezze di incarnati, da una costruzione di volumi ottenuti attraverso passaggi di colori: accorgimenti che dimostrano un grande interesse per il reale, seppur in chiave ancora gotica, oggi forse poco visibili ma chiaramente documentati dagli ultimi interventi. Giotto o gli allievi? Nonostante sia probabilmente da escludere un diretto intervento di Giotto in questa bella Crocifissione trecentesca, stretti appaiono comunque i confronti con idee e soggetti giotteschi, soprattutto dell’attività matura del pittore toscano. La ricchezza decorativa, ad esempio, rimanda alla chiesa inferiore della basilica di San Francesco ad Assisi, a quelle «Allegorie francescane» attribuite al Maestro delle Vele e al Parente di Giotto, stretti collaboratori dello stesso Giotto. Ma l’impostazione delle figure, il gusto dei profili, l’illusionismo tra figure in primo piano e le cornici, che finge uno spazio più dilatato di quello effettivamente inquadrato, la qualità del disegno e del colore, la nitidezza delle forme, l’aspetto equilibratissimo e le ricercatezze epidermiche rimandano ad una delle imprese pittoriche più importanti dell’ultimo Giotto: la cappella Bardi nel transetto sinistro in Santa Croce a Firenze. Al punto che alcune figure appaiono pressoché identiche. Per questo gli storici dell’arte in questi anni, pur non osando attribuire l’opera alla mano di Giotto, l’hanno via via assegnata ad alcuni dei suoi migliori allievi, che probabilmente seguirono il maestro nel suo viaggio milanese, come Puccio Capanna, o Stefano, o Maso, oppure lo stesso Giottino. Anche se non è mancato chi ha voluto smentire la tradizionale lettura in chiave fiorentina per sottolineare nella Crocifissione di San Gottardo i valori di umanità e di forma che caratterizzano proprio la “nuova” pittura lombarda dell’epoca. Un modello per l’arte lombarda Quel che è certo, tuttavia, è che in quest’opera c’è tutto quello spirito nuovo che Giotto, nella sua lunga carriera d’artista, portò nell’arte italiana. Così come è evidente che questa Crocifissione giottesca costituì un modello e un punto di riferimento per tutti gli artisti milanesi e lombardi, lasciando un segno indelebile nella cultura ambrosiana.

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