A trent'anni dalla morte di una figura centrale della cultura e del cattolicesimo italiano, Lorenzo Cantù, che lo conobbe e gli fu amico, sottolinea l'attualità della sua testimonianza: «Un modo di vivere la fede con coerenza»
Silvio MENGOTTO
Redazione
Sabato 24 gennaio l’Università Cattolica di Milano ha ospitato un convegno sulla figura di Giancarlo Brasca, storica figura dell’ateneo, prima direttore della Biblioteca, in seguito direttore amministrativo, in occasione del trentennale della sua morte (24 gennaio 1979). Tra i partecipanti alla tavola rotonda, anche Lorenzo Cantù, già presidente delle Acli milanesi, che conobbe Brasca nel 1952, nell’ambito di quella singolare esperienza denominata “università degli operai”.
«Vi insegnavano vari docenti e intellettuali come Siro Lombardini, Nino Andreatta, Pino Alberigo (poi direttore del Centro di documentazione dell’Istituto per le scienze religiose fondato a Bologna da Giuseppe Dossetti) e Franca Magistretti, che lavorava nell’istituto di psicologia con padre Agostino Gemelli – ricorda Cantù -. C’era monsignor Carlo Colombo, poi teologo di Paolo VI, che curava gli aspetti teologici. E ancora Giuseppe Lazzati, Sergio Zaninelli, Ruggero Orfei e Filippo Hazon. Molte altre persone diedero sostegno culturale al gruppo, ma l’impegno di Brasca fu importante per vivacizzare il mondo cattolico in quel periodo».
Che scopo avevano gli incontri all’università degli operai?
Si trattava di cogliere i problemi dei lavoratori, di conoscere più da vicino le istanze che provenivano da quel mondo e, insieme, di non far mancare l’indicazione del senso che dalla loro esperienza di laici derivava per tutta la Chiesa. Nel 1958 Brasca, assunta anche la fatica dell’Ac diocesana, seppe servirsi dell’esperienza maturata con il nostro gruppo per svolgere, di concerto con le Acli milanesi, una generosa iniziativa di catechesi per i lavoratori: ne derivarono diversi impegni, che portarono all’istituzione dell’Ufficio diocesano della Pastorale sociale e del lavoro, oggetto della particolare attenzione dell’arcivescovo Montini e di cui fu incaricato don Cesare Pagani. Lo stesso Ufficio diede in seguito avvio all’importante iniziativa degli “incontri aziendali per cristiani”.
Ricorda qualche incontro particolare in cui il pensiero di Brasca evidenziò una sua specificità?
Il 28 ottobre 1956, quando seppe dell’insurrezione ungherese, subito la valutò come un avvenimento dalle conseguenze dirompenti, a differenza di altri che la ritenevano solo un episodio di rivalità tra Paesi comunisti, destinato a scomparire nella persistente cortina nebbiosa di Yalta. In questo si può vedere un segno della vigile attenzione che Brasca ebbe per quanto si muoveva in quegli anni nell’Est europeo. Un’attenzione che, dopo gli incontri non occasionali tra la sua e l’Università Cattolica di Cracovia dove insegnava Karol Wojtyla, fece di lui l’amico italiano cui Giovanni Paolo II, subito dopo l’elezione al pontificato, portò il proprio conforto al Policlinico Gemelli.
Una singolare esperienza, quella di Brasca, forse in anticipo sui tempi…
Se ne trova forte e chiara conferma in ciò che egli scriveva sulla rivista Vita Consacrata nel 1974 (fasc. 4, pp. 145-146): «Noi cattolici riteniamo che l’unità e l’indissolubilità della famiglia sia un valore da difendere a ogni costo: ma che cosa abbiamo fatto di concreto nei riguardi dell’esodo forzato di milioni d’italiani che, per trovarsi un lavoro, hanno dovuto vivere anni lontani, di fatto pressoché separati, dai loro cari? Non avrebbe potuto davvero essere compiuto uno sforzo maggiore per sviluppare nel territorio nazionale nuove possibilità di lavoro per tanti padri di famiglia? Lo stesso si deve dire circa il valore della salute, dell’abitazione, dell’occupazione. Noi cristiani riconosciamo senza eccezione che ognuno ha diritto a svolgere in condizioni umane questa attività attraverso cui sviluppa la propria personalità e procura a sé e alla famiglia il necessario per vivere. Ma abbiamo fatto tutto quanto era in nostro potere per vincere la disoccupazione e la sottoccupazione, il lavoro malsano (oggi aggiungeremmo precario, ndr), la sistemazione in tuguri spesso ceduti a condizioni iugulatorie?
Qual è oggi l’attualità del messaggio di Brasca?
Nel suo modo di pensare e agire ho potuto notare una grande fede e un orientamento fermo, di servizio al bene del Regno di Dio, un’attività senza soste, la disponibilità e la comprensione, l’apertura al punto di vista altrui, al dialogo. La sua testimonianza, ancora oggi, è per tutti noi un esempio di presenza cristiana nel lavoro e nel mondo contemporaneo: un modo di vivere, con coerenza, la fede cristiana, figura e memoria di come Gesù ha guardato il mondo. Sabato 24 gennaio l’Università Cattolica di Milano ha ospitato un convegno sulla figura di Giancarlo Brasca, storica figura dell’ateneo, prima direttore della Biblioteca, in seguito direttore amministrativo, in occasione del trentennale della sua morte (24 gennaio 1979). Tra i partecipanti alla tavola rotonda, anche Lorenzo Cantù, già presidente delle Acli milanesi, che conobbe Brasca nel 1952, nell’ambito di quella singolare esperienza denominata “università degli operai”.«Vi insegnavano vari docenti e intellettuali come Siro Lombardini, Nino Andreatta, Pino Alberigo (poi direttore del Centro di documentazione dell’Istituto per le scienze religiose fondato a Bologna da Giuseppe Dossetti) e Franca Magistretti, che lavorava nell’istituto di psicologia con padre Agostino Gemelli – ricorda Cantù -. C’era monsignor Carlo Colombo, poi teologo di Paolo VI, che curava gli aspetti teologici. E ancora Giuseppe Lazzati, Sergio Zaninelli, Ruggero Orfei e Filippo Hazon. Molte altre persone diedero sostegno culturale al gruppo, ma l’impegno di Brasca fu importante per vivacizzare il mondo cattolico in quel periodo».Che scopo avevano gli incontri all’università degli operai? Si trattava di cogliere i problemi dei lavoratori, di conoscere più da vicino le istanze che provenivano da quel mondo e, insieme, di non far mancare l’indicazione del senso che dalla loro esperienza di laici derivava per tutta la Chiesa. Nel 1958 Brasca, assunta anche la fatica dell’Ac diocesana, seppe servirsi dell’esperienza maturata con il nostro gruppo per svolgere, di concerto con le Acli milanesi, una generosa iniziativa di catechesi per i lavoratori: ne derivarono diversi impegni, che portarono all’istituzione dell’Ufficio diocesano della Pastorale sociale e del lavoro, oggetto della particolare attenzione dell’arcivescovo Montini e di cui fu incaricato don Cesare Pagani. Lo stesso Ufficio diede in seguito avvio all’importante iniziativa degli “incontri aziendali per cristiani”.Ricorda qualche incontro particolare in cui il pensiero di Brasca evidenziò una sua specificità?Il 28 ottobre 1956, quando seppe dell’insurrezione ungherese, subito la valutò come un avvenimento dalle conseguenze dirompenti, a differenza di altri che la ritenevano solo un episodio di rivalità tra Paesi comunisti, destinato a scomparire nella persistente cortina nebbiosa di Yalta. In questo si può vedere un segno della vigile attenzione che Brasca ebbe per quanto si muoveva in quegli anni nell’Est europeo. Un’attenzione che, dopo gli incontri non occasionali tra la sua e l’Università Cattolica di Cracovia dove insegnava Karol Wojtyla, fece di lui l’amico italiano cui Giovanni Paolo II, subito dopo l’elezione al pontificato, portò il proprio conforto al Policlinico Gemelli.Una singolare esperienza, quella di Brasca, forse in anticipo sui tempi…Se ne trova forte e chiara conferma in ciò che egli scriveva sulla rivista Vita Consacrata nel 1974 (fasc. 4, pp. 145-146): «Noi cattolici riteniamo che l’unità e l’indissolubilità della famiglia sia un valore da difendere a ogni costo: ma che cosa abbiamo fatto di concreto nei riguardi dell’esodo forzato di milioni d’italiani che, per trovarsi un lavoro, hanno dovuto vivere anni lontani, di fatto pressoché separati, dai loro cari? Non avrebbe potuto davvero essere compiuto uno sforzo maggiore per sviluppare nel territorio nazionale nuove possibilità di lavoro per tanti padri di famiglia? Lo stesso si deve dire circa il valore della salute, dell’abitazione, dell’occupazione. Noi cristiani riconosciamo senza eccezione che ognuno ha diritto a svolgere in condizioni umane questa attività attraverso cui sviluppa la propria personalità e procura a sé e alla famiglia il necessario per vivere. Ma abbiamo fatto tutto quanto era in nostro potere per vincere la disoccupazione e la sottoccupazione, il lavoro malsano (oggi aggiungeremmo precario, ndr), la sistemazione in tuguri spesso ceduti a condizioni iugulatorie?Qual è oggi l’attualità del messaggio di Brasca?Nel suo modo di pensare e agire ho potuto notare una grande fede e un orientamento fermo, di servizio al bene del Regno di Dio, un’attività senza soste, la disponibilità e la comprensione, l’apertura al punto di vista altrui, al dialogo. La sua testimonianza, ancora oggi, è per tutti noi un esempio di presenza cristiana nel lavoro e nel mondo contemporaneo: un modo di vivere, con coerenza, la fede cristiana, figura e memoria di come Gesù ha guardato il mondo.