Si è spenta ieri all'ospedale San Paolo di Milano la poetessa Alda Merini. La camera ardente è allestita presso il Comune di Milano. Il sindaco Letizia Moratti ha annunciato i funerali di Stato. Le esequie, presiedute da monsignor Franco Giulio Brambilla,�Vescovo, Vicario episcopale per la cultura,�saranno celebrate in�Duomo mercoledì 4 novembre alle 14. Un anno fa la poetessa fu intervistata da noi per il numero natalizio del mensile diocesano "Il Segno". Un incontro interessante e carico di umanità

di Stefania CECCHETTI
Redazione

Era una giornata di pioggia come quella di oggi, l’ultima volta che sono stata accolta in casa di Alda Merini. Anzi, per la precisione era proprio novembre. Esattamente un anno fa la andai a trovare per parlare con lei di Maria, madre gioiosa e dolente del Presepio, per un articolo che avremmo pubblicato sul numero di Natale del Segno.
La casa di Alda Merini era indescrivibile. A nove anni dalla mia prima volta in quel minuscolo bilocale, lo trovai ancora peggiorato: a stento si riusciva a farsi largo tra le carte, i vestiti appoggiati ovunque, le scatole e chissà cos’altro. E poi l’odore, la polvere.
Eppure, entrambe le visite sono state un’esperienza straordinaria, una di quelle che ti rimangono nel cuore. «Grazie, ogni volta che vengo qui esco che mi sento un po’migliore», le dissi salutandola. E lei mi abbraccio e mi sorrise, con i suoi occhi profondi e furbi – di quelli che vedono ben oltre il banale – che pareva luccicassero.
Peccato non essere riuscita a tornare per un’altra intervista. «Voi giornalisti volete sempre venire. Ma nessuno torna a trovarmi per portarmi la rivista», mi disse. Anche io mi limitai a spedirgliela. Si pensa sempre di avere altro tempo per fare le cose che ci stanno a cuore, ma non sempre è così. Ieri Alda Merini ha lasciato la sua Milano, si è spenta nel reparto oncologico dell’ospedale San Paolo. Chissà che fine farà quel piccolo appartamento sui Navigli nel quale viveva, al limite dalla povertà, una delle più grandi voci liriche del Novecento. L’amministrazione comunale ha promesso almeno una targa. Speriamo in bene.
Del resto fare polemica sulla condizione in cui viveva non ha nessun senso. Lei sembrava completamente felice del suo disordine. Si rammaricava di altre cose. Della cattiveria della gente. Del fatto che mons. Gianfranco Ravasi avesse lasciato Milano per Roma («Era la cultura nella nostra città» mi disse). Dei problemi delle sue figlie.
Perché avendola incontrata due volte, per due volte ho avuto la stessa impressione: Alda Merini era innanzi tutto una mamma, disperatamente innamorata delle sue creature. Poi una donna, con una sua sensualità fortissima, anche ultra settantenne, anche nel suo corpo pesante, nel suo volto rugoso (sempre col rossetto, però), nei suo capelli opachi. Un sensualità così spinta da sconfinare nel misticismo. Del resto fu lei a dirmi che «la carnalità è in fondo uno degli aspetti più affascinanti del cristianesimo, oltre che della natura tutta». E infine Alda era uno spirito curioso e arguto, rassegnato e sapiente, indomito e anticonformista. Insomma, uno spirito Poetico. Era una giornata di pioggia come quella di oggi, l’ultima volta che sono stata accolta in casa di Alda Merini. Anzi, per la precisione era proprio novembre. Esattamente un anno fa la andai a trovare per parlare con lei di Maria, madre gioiosa e dolente del Presepio, per un articolo che avremmo pubblicato sul numero di Natale del Segno.La casa di Alda Merini era indescrivibile. A nove anni dalla mia prima volta in quel minuscolo bilocale, lo trovai ancora peggiorato: a stento si riusciva a farsi largo tra le carte, i vestiti appoggiati ovunque, le scatole e chissà cos’altro. E poi l’odore, la polvere.Eppure, entrambe le visite sono state un’esperienza straordinaria, una di quelle che ti rimangono nel cuore. «Grazie, ogni volta che vengo qui esco che mi sento un po’migliore», le dissi salutandola. E lei mi abbraccio e mi sorrise, con i suoi occhi profondi e furbi – di quelli che vedono ben oltre il banale – che pareva luccicassero.Peccato non essere riuscita a tornare per un’altra intervista. «Voi giornalisti volete sempre venire. Ma nessuno torna a trovarmi per portarmi la rivista», mi disse. Anche io mi limitai a spedirgliela. Si pensa sempre di avere altro tempo per fare le cose che ci stanno a cuore, ma non sempre è così. Ieri Alda Merini ha lasciato la sua Milano, si è spenta nel reparto oncologico dell’ospedale San Paolo. Chissà che fine farà quel piccolo appartamento sui Navigli nel quale viveva, al limite dalla povertà, una delle più grandi voci liriche del Novecento. L’amministrazione comunale ha promesso almeno una targa. Speriamo in bene.Del resto fare polemica sulla condizione in cui viveva non ha nessun senso. Lei sembrava completamente felice del suo disordine. Si rammaricava di altre cose. Della cattiveria della gente. Del fatto che mons. Gianfranco Ravasi avesse lasciato Milano per Roma («Era la cultura nella nostra città» mi disse). Dei problemi delle sue figlie.Perché avendola incontrata due volte, per due volte ho avuto la stessa impressione: Alda Merini era innanzi tutto una mamma, disperatamente innamorata delle sue creature. Poi una donna, con una sua sensualità fortissima, anche ultra settantenne, anche nel suo corpo pesante, nel suo volto rugoso (sempre col rossetto, però), nei suo capelli opachi. Un sensualità così spinta da sconfinare nel misticismo. Del resto fu lei a dirmi che «la carnalità è in fondo uno degli aspetti più affascinanti del cristianesimo, oltre che della natura tutta». E infine Alda era uno spirito curioso e arguto, rassegnato e sapiente, indomito e anticonformista. Insomma, uno spirito Poetico. Una vita per la poesia – Nata a Milano nel 1931, Alda Merini esordì giovanissima come poetessa pubblicando nel 1953 la raccolta La presenza di Orfeo. Nello stesso anno aveva sposato Ettore Carniti. Era da qualche anno diventata mamma delle sue prime due figlie (in tutto ne ebbe quattro), quando fu internata all’ospedale Paolo Pini, dove rimase fino al 1972, fatta eccezione solo per brevi ritorni a casa. La malattia psichiatrica la segnò profondamente e venne raccontata, dopo anni di silenzio, nella raccolta La Terra Santa (1984). L’inizio degli anni Novanta segnò un ritorno di popolarità della poetessa, con la pubblicazione di nuove raccolte, alcune affollatissime apparizioni milanesi e la presenza in alcune trasmissioni televisive.

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