L’Arcivescovo ha presieduto, in Duomo, la Messa in suffragio dei recenti Pastori di Milano defunti. «Facciamo l’elogio degli uomini illustri come atto di fede intelligente»
di Annamaria
Braccini
L’elogio degli uomini illustri che – quando non è ricordo lontano o semplice piaggeria – si fa esercizio spirituale, magnanimità capace di riconoscere il bene e riconoscenza. La famosa pagina del Libro del Siracide, dedicata appunto, all’elogio di chi ha reso grande e fatto onore al nome “umanità”, guida l’intera omelia che l’Arcivescovo pronuncia, in Duomo, ricordando i recenti Arcivescovi di Milano defunti, nel giorno successivo alla memoria liturgica del beato cardinale Alfredo Ildefonso Schuster e, quest’anno, nell’ottavo anniversario esatto della scomparsa del cardinale Carlo Maria Martini. Concelebrano il Rito i membri del Consiglio Episcopale Milanese, alcuni vescovi emeriti e di origine ambrosiana, i Canonici del Capitolo della Cattedrale e altri presbiteri, tra cui padre Carlo Casalone, presidente della Fondazione Carlo Maria Martini. Sono, presenti, tra molti fedeli, i parenti del cardinal Martini e del cardinale Tettamanzi. Il cardinale Scola, arcivescovo emerito, invia un suo messaggio nel quale parla di «intensa e affettuosa comunione spirituale» con chi si trova in Cattedrale, non potendo essere presente per i rischi legati alla pandemia.
In apertura, l’arciprete del Duomo, monsignor Gianantonio Borgonovo, nella sua introduzione, cita Montini-san Paolo VI, successore del beato cardinal Schuster e san Giovanni Paolo II, per delineare brevemente il profilo schusteriano, esemplare per tutti i Pastori che a lui sarebbero succeduti sulla Cattedra di Ambrogio e Carlo. Un pensiero è anche per il beato cardinale Andrea Carlo Ferrari del quale in Duomo, si farà memoria solenne il 31 gennaio prossimo, a cento anni dalla morte, avvenuta il 2 febbraio 1921. Poi, nella riflessione del vescovo Mario, il senso dell’elogio
L’omelia dell’Arcivescovo
«Non è tanto difficile esaltare le qualità meravigliose degli sconosciuti, proporre il panegirico di uomini e donne dei secoli passati, di paesi lontani, quelli che per fama, per virtù, per esemplarità, per inarrivabile eroismo, meritano statue e discorsi, titoli altisonanti e tentativi di imitazione».
Insomma, se non è troppo complesso elogiare i lontani nel tempo e nello spazio – ma, magari, lo diventa, quando si parla della suocera o del proprio parroco, osserva l’Arcivescovo sul filo dell’ironia – occorre andare oltre.
«Facciamo l’elogio degli uomini illustri non per guardare lontano, ma facciamolo di persone concrete, conosciute, inevitabilmente imperfette: questa è l’espressione di un animo magnanimo. La pratica dell’elogio di persone che hanno vissuto i nostri stessi giorni, le nostre stesse vicende, richiede un cammino di liberazione dalla meschinità, cioè da quella tentazione di piccineria che elenca i particolari fastidiosi o antipatici e dimentica l’insieme della persona e della sua vicenda. È necessario liberarsi dall’invidia e dalla gelosia, da quei risentimenti tristi di chi si irrita per ogni qualità attribuita agli altri, di chi interpreta ogni elogio per gli altri come una lode che gli è negata».
L’elogio, così, è vera riconoscenza che «germoglia negli animi sinceri, quelli che possono ammettere di aver molto ricevuto di essere debitori alle persone con cui hanno vissuto un tempo della vita. Riconoscono che molti tratti di quello che siamo e di quello che facciamo sono frutti che vengono da semi gettati dagli Arcivescovi che oggi commemoriamo. E perciò siamo qui a rendere grazie. La riconoscenza è la saggezza che rivisita anche momenti difficili, decisioni discutibili, tratti antipatici e tutto avvolge di benevolenza e si convince che ci sono buone ragioni per rendere grazie».
Come a dire, il passato va letto nella sua integralità e, quindi, ricordare e sentirsi eredi significa anche riconciliarsi, attraverso «un’occasione per chiedere perdono, per fare pace con momenti e atteggiamenti sbagliati».
«Costa riconoscere di aver avuto torto, costa liberarsi dai propri puntigli e dalla propria ricostruzione parziale dei frammenti della storia vissuta, costa dover ammettere che il nostro puntiglio deve aver fatto soffrire, che le nostre ingiuste critiche possono aver ferito, che abbiamo preteso pazienza e comprensione per scelte e atteggiamenti che meritavano correzioni e rimproveri».
Evidente che, in questo contesto – sottolineato dal vescovo Mario -, l’elogio dei predecessori defunti sia anche un atto di fede definito intelligente.
«Nel fare l’elogio di chi ha guidato la nostra Chiesa si può praticare la fede intelligente che riconosce nella storia l’opera dello Spirito di Dio. Una provvidenza sollecita e premurosa ha avuto cura delle nostre comunità: attraverso gli Arcivescovi che oggi commemoriamo abbiamo ricevuto grazie, visioni, parole necessarie, correzioni opportune, e ogni benedizione. Il Padre misericordioso ha mostrato la sua pazienza, la sua misericordia, la sua sapienza attraverso questi nostri vescovi. Siamo stati aiutati a conoscere Dio, siamo stati aiutati a riconoscere i segni del Regno di Dio che viene».
D’altra parte è proprio così che Gesù Ben Sira, sapiente di Israele, intende l’elogio, illustrandolo negli ultimi 6 capitoli del suo libro, appunto, il Siracide che, non a caso, guiderà quest’anno pastorale nel quale l’Arcivescovo invita a discernere e a vivere secondo una sapienza che viene dall’alto e illumina ogni giorno. «Possiamo quindi anche imparare anche dal Siracide le virtù necessarie per fare apprezzare gli uomini che hanno fatto questa storia e quelli che la stanno facendo, liberandoci dalla meschinità e dall’invidia per essere magnanimi, vigili per evitare la critica amara e il lamento deprimente, inclini invece alla riconoscenza, disponibili alla riconciliazione per non, invece, impigliati nel risentimento senza sbocchi, capaci di praticare uno sguardo credente non solo sul passato, ma che ammonisce anche nel presente», conclude, infatti.
Al termine, come è ormai tradizione, l’Arcivescovo con i Concelebranti, si reca in processione alle sepolture dei cardinali Martini, Colombo e Tettamanzi per una preghiera e l’incensazione, concludendo il Rito presso l’altare che conserva l’urna del beato cardinale Schuster.