In Duomo, si è fatta memoria dei recenti Pastori di Milano scomparsi. L’Arcivescovo ha annunciato il suo desiderio di celebrare, in Cattedrale, una Messa per tutti i sacerdoti ambrosiani morti durante l’anno
di Annamaria
Braccini
«Vogliamo chiedere la grazia di continuare a essere una Chiesa unita, libera, lieta, vicina a ogni uomo e donna senza essere trascinata qua e là da ogni vento; di essere Chiesa immersa nella vita senza omologarci al tempo in cui viviamo; di essere un segno di benevolenza per ogni uomo e generazione, senza mendicare approvazione e consensi; di avere la tenacia dell’originalità cristiana senza chiusure allo Spirito che sempre sorprende e converte».
È con un auspicio e una speranza certa, fondati sulla devota memoria dei Pastori del XX secolo e dell’inizio del XXI, scomparsi e sepolti in Duomo, che l’Arcivescovo richiama il senso di un ricordare che non è solo un semplice rendere omaggio (peraltro doveroso), ma l’indicazione per un cammino futuro.
L’Arcivescovo, che indossa la casula del cardinale Schuster, presiede in Duomo la Celebrazione eucaristica di commemorazione, appunto, degli Arcivescovi dei nostri tempi, nel giorno della memoria liturgica del beato Alfredo Ildefonso Schuster, salito alla Casa Padre alle prime ore del 30 agosto 1954 quando si trovava presso il Seminario di Venegono Inferiore.
Concelebrano il Rito i membri del Consiglio Episcopale Milanese, con i vescovi Agnesi Mascheroni, Stucchi, De Scalzi, Merisi e Martinelli, i Vicari di Zona e di Settore, il presidente e il vicepresidente della “Fondazione Carlo Maria Martini”, il parroco di “San Fedele” – i Padri gesuiti Carlo Casalone, Giacomo Costa e Maurizio Teani -, circa 30 altri sacerdoti, tra cui quasi tutti i segretari avvicendatisi durante i 22 anni dell’Episcopato martiniano.
Nelle prime file partecipano all’Eucaristia, i familiari del cardinale Martini, del cardinale Tettamanzi, e tanta gente che il caldo agostano non ha fermato.
La memoria – le Letture sono quelle proprie della Messa del beato Schuster – si avvia con le parole introduttive dell’arciprete della Cattedrale, monsignor Gianantonio Borgonovo che cita l’omelia di san Giovanni Paolo II,pronunciata in occasione della beatificazione schusteriana davanti a migliaia di pellegrini milanesi giunti a Roma.
«“Tutta la sua esistenza si potrebbe riassumere nell’immagine di un cammino verso la santità. Imitate la vita, lo spirito di preghiera, l’amore generoso, lo zelo apostolico del cardinale Schuster”, disse il santo papa polacco. Anche noi, ormai all’inizio del nuovo Anno Pastorale, vogliamo fare nostre queste parole facendo suffragio di tutti gli Arcivescovi. La loro memoria sia benedizione», conclude l’Arciprete.
L’omelia
L’immagine del portare frutto se si dimora nel Signore – come si legge nella pagina del Vangelo di Giovanni al capitolo 15, appena proclamato tra le navate – è il filo rosso che annoda l’intera, intensa riflessione dell’Arcivescovo che si chiede, infatti, quali aspettative siano generate da tale «promessa» di Gesù.
«L’immaginazione spontanea orienta a un’interpretazione quantitativa, come se l’intenzione di Gesù fosse che chi va in una missione radicata nella comunione con Lui ottenga molti risultati. Il molto frutto promesso sarebbe, pertanto, rilevabile dalle statistiche, dai bilanci, dai numeri».
Un modo di pensare certamente apprezzato oggi, ma che si qualifica più come una tentazione che come un criterio di valutazione. «Tentazione molto diffusa perché è coerente con la sensibilità contemporanea che tende a valutare tutto con criteri quantitativi, che si tratti di bilanci aziendali o dell’economia di una Nazione o dell’esito di una iniziativa. Tutto si misura».
Una tentazione che bene conosciamo anche nelle nostre frasi di tutti i giorni. «Quanta gente c’era? Erano di più o di meno dell’anno scorso? Quanti sono contenti o sono scontenti di questa iniziativa o di questa Chiesa?».
Ma, avverte subito l’Arcivescovo, «sembra che questa valutazione quantitativa non sia del tutto coerente con lo stile di Gesù e il suo insegnamento».
Così come non lo è un successo qualitativo. «Forse anche noi siamo indotti a pensare che il molto frutto della missione sia il successo, la popolarità, o almeno la stima, il prestigio che possono godere i discepoli e la Chiesa nel suo insieme. Comunque, il frutto si potrebbe vedere nell’attenzione alle parole degli uomini di Chiesa e nell’influsso che esercitano e nel loro tempo e nell’ambiente. Ma anche questo non sembra coerente con l’insegnamento di Gesù. Se, dunque, si devono escludere o almeno guardare con sospetto le interpretazioni quantitative e qualitative, da cosa possiamo riconoscere che i Pastori abbiano portato molto frutto?».
Questo l’interrogativo per il quale basta ripercorrere le vite dei nostri Vescovi defunti più recentemente, trovando in essi un chiaro punto fermo.
Coloro che «noi sentiamo vicini, maestri della fede, i nostri Pastori sono sempre vivi nella memoria e nel cammino della nostra Chiesa. A loro, così diversi e tutti così ammirevoli, potremmo chiedere: quale è il vostro molto frutto, quale è il frutto del vostro servizio alla Chiesa che rimane?», sottolinea l’attuale successore sulla Cattedra di Ambrogio e Carlo.
«Se riesco a farmi interprete di quello che loro suggeriscono – se chiedo ai Vescovi defunti che ricordiamo questa sera, “Che cosa avete fatto? quale è il vostro frutto?” – posso raccogliere qualche frammento della risposta che viene dalla gloria in cui abitano. Così diversi dicono una cosa sola. “Abbiamo fatto molte cose, molto diverse, in tempi diversi, con stili diversi, con esiti diversi, ma abbiamo contribuito a “fare la Chiesa”. Ecco l’opera di Dio: che in mezzo agli uomini continui a esserci una parola di testimonianza che dica la presenza di Gesù, una comunità che abiti il tempo con lo stile di Gesù in attesa della sua venuta. Forse, una volta, i cristiani erano tanti e adesso sono pochi, ma continuano a essere la Chiesa che annuncia, che opera la carità, che invita tutti popoli per condividere la sua speranza. In alcuni momenti la Chiesa ha goduto di grande prestigio, gli uomini di Chiesa erano un punto di riferimento desiderato, apprezzato, in altri tempi, invece, erano contestati, criticati, circondati di indifferenza o, addirittura, di disprezzo. Ma la Chiesa ha continuato a essere presenza amica, disponibile al servizio, fedele nell’annuncio della Parola evangelica».
«Ecco cosa abbiamo fatto noi Vescovi di Milano, abbiamo servito la Chiesa. Vorremmo chiedere la grazia che il frutto del Ministero dei Vescovi milanesi defunti sia un frutto che rimanga: vogliamo, con la grazia di Dio continuare ad essere il segno della presenza del Regno nella storia e in questa terra. Chiediamo la grazia di essere la santa Chiesa di Dio che è in Milano, la Chiesa di Ambrogio e Carlo, la Chiesa di Schuster, Montini, Colombo, Martini, Tettamanzi. La Chiesa che è in Milano continui ad essere un segno del Regno di Dio che è tra di noi».
Infine, al termine della Celebrazione, la processione dei Concelebranti con la preghiera sulle tombe del cardinale Martini e dei cardinali Colombo e Tettamanzi – asperse dall’Arcivescovo che bacia l’altare e le reliquie del beato Schuster e la benedizione conclusiva.