I presbiteri ei i diaconi lombardi riuniti in Duomo per una mattinata di ritiro e preghiera in preparazione al Congresso eucaristico nazionale di settembre. Saluto del cardinale Tettamanzi, riflessione dell'arcivescovo di Ancona Menichelli e un intervento di monsignor Navoni sull'intenso rapporto di San Carlo con l'Eucarestia

di Rosangela VEGETTI

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“Signore da chi andremo?” è la risposta di Pietro al drammatico interrogativo di Gesù sulla scelta dei discepoli di lasciarlo o meno nel momento più alto e doloroso della sua missione terrena. È anche il tema che ha guidato l’intenso incontro spirituale dei preti delle diocesi lombarde in Duomo, in vista del Congresso eucaristico nazionale che si svolgerà ad Ancora dal 3 all’11 settembre. Insieme per riconoscersi confratelli, appassionati della stessa missione e preoccupati delle stesse sfide. Anche il cardinale Tettamanzi, dopo un breve saluto, si è posto in ascolto delle parola e in adorazione dell’eucaristia.
Affrontare al cuore il mistero eucaristico, fonte, ragione e alimento della vita di ogni cristiano, e particolarmente di quanti sono stati scelti per il ministero sacerdotale, è strada ardua. Ben lo sapeva San Carlo Borromeo che, nelle sue omelie, nelle preghiere e con l’intera testimonianza di vita lo ha manifestato e proposto ai suoi preti, incoraggiandoli a una vita di carità e di attività pastorale a imitazione del Cristo, il Buon Pastore.
Ai tempi di San Carlo non era uso frequentare l’eucaristia, e neppure celebrarla ogni giorno da parte dei sacerdoti. A tale disaffezione San Carlo contrappose ogni sforzo di riscoperta del grande mistero di grazia in essa contenuto. Lui per primo fu esempio luminoso di devozione spirituale a Maria, al Crocifisso e all’eucaristia e svolse un intenso magistero per far comprendere come «il Cristo, buon Pastore che dà la propria vita per le pecore, le nutre e pasce con la parola e l’eucaristia». La vita di San Carlo fu talmente permeata e conformata all’eucaristia – ha spiegato monsignor Marco Navoni – che nel panorama iconografico del santo le sue grandi opere di carità sono presentate come esempi di vita eucaristica, apice della vita cristiana.
A monsignor Edoardo Menichelli, arcivescovo metropolita di Ancona, è stato lasciato l’approfondimento spirituale di tanto alto tema che può ben essere sintetizzato nelle parole: «Di fronte all’inquietudine della realtà contemporanea c’è la certezza che Cristo è per noi e con noi”. Per ogni sacerdote l’eucaristia deve essere al centro dell’esistenza: va vissuta, celebrata e adorata. È ben più di una spiritualità trasmessa da un fondatore: «La vita sacerdotale, o è intrinsecamente eucaristica, o non è. Nell’eucaristia non c’è nulla di inutile, di superfluo, perché c’è il Cristo». Punto di attrazione e segno di conversione.
La domanda conseguente è: «Io ci credo?». Lo stesso Gesù sapeva che tra i suoi ce n’erano alcuni che non credevano, benché l’avessero davanti in carne e ossa, e li incoraggiò a fare quello che lui aveva fatto: «Fate questo in memoria di me». Questo, e non altro, perché ciascun sacerdote è associato alla stessa e sola opera di salvezza compiuta dal Cristo, pur nella sua inadeguatezza umana e personale. Essere sacerdote è essere uomo per l’eucaristia e dell’eucaristia, imitatore di Cristo e a lui conformato per grazia e impegno personale.

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