L’Arcivescovo ha presieduto il Pontificale della Solennità dell’Epifania in Duomo, invitando a guardare oltre i luoghi comuni e vivendo, anche nelle nostre terre, l’attesa del Signore «che continua ad abitare la città»

di Annamaria Braccini

epifania duomo 2019 rAAC

In questa nostra terra dove tutti vanno di fretta, segnata da tanti problemi, forse, si può uscire dalla banalità e riconoscere che viviamo anche di inquietudini, di speranza, di sogni e di poesia.
Se è vero che siamo (o eravamo…) un Paese di poeti, l’inno con il quale l’Arcivescovo, dà voce, appunto, a tale attesa, nel Pontificale solenne dell’Epifania che presiede in Duomo, non può che parlare, allora, con il linguaggio della poesia.
«Non parlate troppo male della gente di questa nostra terra. Non continuate a ripetere i luoghi comuni che riducono la gente a gente sempre intenta a calcolare, a progettare, a vendere e a comprare. Questa è anche terra di inquietudini, di attese, di domande, di pensieri. Questa gente è anche gente che alza la testa per leggere i cieli e indovinare una promessa. Questa terra è anche terra di poeti».
E, per questo – pare suggerire il vescovo Mario – si può riconoscere come propri concittadini i Magi «anche loro un po’ profeti e un po’ poeti», ma soprattutto, possiamo continuare a porci l’interrogativo dei tre saggi di Oriente: «la domanda dove sia, chi sia questo Gesù, il Re dei Giudei che è nato; quando si possa incontrare, che cosa possa fare per noi Gesù che continua ad abitare la città».
Così, tra le navate della Cattedrale inondate di luce, risuona la lirica di Montale che, in “Come Zaccheo”, testimonia l’attesa delusa e il desiderio spento per non aver visto il Signore.
Parole a cui fa eco la splendida poetica dei “Canti anonimi” di Clemente Rebora con il Signore che, invece, viene e che “Verrà come ristoro / delle mie e sue pene, / verrà, forse già viene / il suo bisbiglio”. «Il poeta intuisce, dunque, l’approssimarsi di una salvezza che ancora non sa», ma che, addirittura, ci previene.
Infatti, da Alda Merini, nei suoi versi struggenti e dolorosi assetati d’amore, quanto quelli dell’altrettanto tribolata Antonia Pozzi – emblema entrambe di passaggi esistenziali tragici e di un genio femminile non ancora compreso a pieno – il canto pare divenire preghiera, «accorgendosi che l’attesa è stata prevenuta, che non è l’uomo che cerca dove sia nato il Re dei Giudei, ma è il Salvatore del mondo che non si stanca di cercare chi vuole essere salvato. È quindi promesso e possibile l’incontro che riempie di grandissima gioia, come una risurrezione»; come speranza che non muore, per usare Merini nel suo “Cantico dei Vangeli”:
“Voi che siete oppressi / ed esaltati nel male / ricordate che eravate violini / pronti a suonare /le ragioni del mondo. / Poi qualcuno, / un demone assurdo di sacrificio / vi ha troncato le ultime parole. / Ahimè, poveri vetri infranti / che siete finiti in mille pezzi / e non sapete più ricomporvi. /Ma il mio sguardo d’amore /tornerà a ridarvi armonia”.
«In questa terra la gente custodisce uno spiraglio e, forse, da quello spiraglio irrompe la luce della stella. Possiamo, quindi, accompagnare la conclusione del periodo delle feste natalizie con la benedizione che il Signore è venuto a portare, per fare alleanza tra il cielo e la terra, per annunciare il Regno di Dio. Molti non lo sanno, molti forse non lo cercano, ma i credenti si incantano nella contemplazione e tornano agli impegni consueti, responsabili della speranza».
Con il “Natale” del Manzoni – “Dormi, o celeste, i popoli / chi nato sia non sanno; / ma il dì verrà che nobile / retaggio tuo saranno; / che in quell’umil riposo, / che nella polve ascoso / conosceranno il Re” -, la conclusione.
«Questa, dunque, è terra di gente che sa trasfigurare la realtà in una rivelazione del mistero; gente che sa trovare le parole per farci sentire un’emozione, un fremito, suggerire una speranza. Abbiamo bisogno di tante cose, ci sono tani problemi che dobbiamo affrontare ogni giorno, ma noi, in questa Solennità dell’Epifania, vorremmo pregare il Signore che dia a ciascuno la grazia di essere un poco poeti, disponibili alla sorpresa, al fremito di commozione, capaci di cantare le lodi del Signore e di ripetere instancabilmente la domanda: “Dov’è il Re dei Giudei che è nato?”».
E, a conclusione – durante la Celebrazione viene annunciata, come tradizione, anche la data della Pasqua 2019, che cadrà il 21 aprile prossimo -, ancora un augurio e una benedizione: «Il tempo natalizio, in Rito ambrosiano, prosegue fino all’inizio della Quaresima e, quindi, continuiamo a contemplare l’incarnazione del Figlio di Dio. Però il detto popolare che dice: “L’Epifania, tutte le feste si porta via”, mi ha fatto riflettere. Credo che le feste vengano portate nel cuore della vita, a tutti i fratelli e sorelle che attendono una rivelazione, una speranza e una consolazione».
All’uscita, infine, un momento che si rinnova da anni: l’Arcivescovo viene salutato dagli zampognari “I Picett del Grenta” (I Pettirossi del Grenta)” scesi, per l’occasione, da Valgreghentino nella Brianza lecchese, fino a Milano.

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