L'Arcivescovo: «Dalla nostra appartenenza alla Chiesa nasce in noi la responsabilità della testimonianza, personale e comunitaria. Attendiamo papa Francesco per continuare ad impararla»
del cardinale Angelo SCOLA
Arcivescovo di Milano
«Misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34, 6b). Nel brano dell’Esodo che la liturgia oggi ci propone, Dio rivela a Mosè il suo cuore di padre; e Mosè, a nome di tutto il popolo, osa domandare la sua stabile compagnia: «Fa’ di noi la tua eredità» (Es 34,9b). Eppure è ben consapevole dell’ostinata ribellione di Israele: «Sì, è un popolo di dura cervice» (Es 34,9), che irrigidisce il collo per non portare il giogo della Legge. Ma sa che può contare su ciò che Dio è in se stesso, indipendentemente dall’uomo. Ognuno di noi, per vivere, ha bisogno di questa gratuità assoluta.
Lo sa bene l’Apostolo Paolo, quando scrive ai fratelli della Galazia: «Quelli… che si richiamano alle opere della Legge stanno sotto la maledizione» (Gal 3,10). La Legge infatti prima ordina e poi condanna, perché domanda una osservanza piena che l’uomo, con le sole sue forze, è impotente a realizzare. Affidarci alla forza di Dio e lasciarci condurre da lui, certi che Egli compirà la sua promessa – come fece Abramo – è questo che ci fa giusti. «Il giusto per fede vivrà» (Gal 3,11).
Il cammino quaresimale ci educa alla maturità della fede.
La disputa, serrata e drammatica (alla fine «raccolsero delle pietre per gettarle contro di lui», Gv 8,59), tra Gesù e i Giudei, narrata dal passaggio del Vangelo di oggi ci propone un affondo sulla fede, cioè sull’«essere da Dio» (cfr Gv 8,47) per riconoscerlo come Padre. È un brano lungo e complesso, mi limiterò solo a una sottolineatura.
La dignità di figli e perciò la vera libertà (in latino i figli si chiamavano liberi) non derivano da nessun vanto umano, né di stirpe, né di merito, ma dal «rimanere nella parola» (cfr Gv 8,31) del Figlio.
I Giudei rivendicano la loro discendenza da Abramo, ma non ne fanno le opere. «Gli risposero: “Il padre nostro è Abramo”. Disse loro Gesù: “Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo”» (Gv 8,39). L’opera fondamentale di Abramo, dice l’Epistola, è la fede.
La fede di Gesù ha una cifra identificativa: il suo obbediente riferimento al Padre. Il Prefazio della Santa Messa dell’odierna domenica ci fa pregare così: «Tu, o Padre, nei secoli antichi, benedicendo la futura stirpe di Abramo, rivelasti la venuta tra noi di Cristo, tuo Figlio. La moltitudine di popoli, preannunziati al patriarca come sua discendenza, è veramente la tua unica Chiesa, che si raccoglie da ogni tribù, lingua e nazione. In essa contempliamo felici quanto ai nostri padri avevi promesso».
Dalla gratitudine per la nostra appartenenza alla Chiesa nasce in noi la responsabilità della testimonianza, personale e comunitaria. Attendiamo Papa Francesco per continuare ad impararla.