La riflessione dell'Arcivescovo sul brano evangelico della risurrezione di Lazzaro, un dono d'amore esteso a tutti gli uomini: «Proprio perché di un dono si tratta, domanda il nostro sì. Siamo chiamati ad accoglierlo con una fede operosa nella carità»

del cardinale Angelo SCOLA
Arcivescovo di Milano

Gesù invita Marta e Maria a credere tenacemente proprio nel momento del dolore più profondo: la perdita di un familiare o di una persona cara è per tutti un’esperienza gravemente penosa. Del resto, lo è stata anche per Gesù: «Guarda come lo amava!» ci narra il Vangelo.

Di fronte alla morte del fratello e in presenza dell’Amico che è appena arrivato, Maria si getta ai piedi di Gesù e gli dice: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Il dolore delle sorelle e degli amici di Lazzaro è ancora carico di scandalo mortale. E non solo, il grido di Maria ha quasi il tono del rimprovero e forse anche della sfida.

Ma Gesù non si tira indietro: «Non ti ho detto che se credi vedrai la gloria di Dio?». In quel se è contenuto tutto il dramma dell’esistenza umana. Se credi, vedrai la gloria di Dio già nel mondo presente e nella contraddizione presente. La gloria che coincide con la persona di Gesù stesso: Egli, infatti, è risurrezione e vita.

Davanti alla morte dell’amico e profondamente mosso dal dolore delle sorelle, Gesù invoca il miracolo dal Padre. Egli affida la sua domanda a Dio, come un figlio a suo padre, ben sapendo che la loro volontà è una sola. La preghiera di Gesù, che accoglie fino in fondo la domanda di Maria, non è un’azione magica, né esibizione di potenza risolutrice, ma rapporto col Padre, espressione di un amore ricevuto e donato, più forte della morte.

La sua vittoria sulla morte è parte della Sua missione. Così sarà anche per la nostra morte. Gesù sulla croce consegna a Dio e alla Chiesa il Suo Spirito. Da quel momento la morte non sarà più il tragico destino dei figli di Adamo, ma la rivelazione dell’estrema dedizione del Padre, in Cristo, agli uomini. Solo perché muore di questa morte obbediente Gesù può dire di sé «Io sono la risurrezione e la vita» (Gv 11,25a) con parole che eliminano la morte: «Chi crede in me, anche se muore, vivrà» (Gv 11,26).

Per questo, noi possiamo ripetere con l’apostolo Paolo: «Ci ha fatto rivivere con Cristo… Con lui ci ha anche risuscitato e ci ha fatto sedere nei cieli» (Ef 2,5-6). Questo posto non ce lo siamo conquistati noi, ma ci è stato donato dall’amore di Dio. E proprio perché di un dono d’amore si tratta chiede di essere accolto, domanda il nostro sì. Nessuno, infatti, diventa “automaticamente” partecipe del gaudio eterno. Siamo chiamati ad accogliere tale dono con una fede operosa nella carità.

In Quaresima la Chiesa ci invita a fare opere di penitenza, ma che senso hanno se tutto viene dalla grazia di Dio e non dai nostri sforzi? Le nostre opere sono espressione della nostra fede e, quindi, della nostra mendicanza.

Anche noi come il Salmista possiamo rivolgerci ogni giorno al Padre con il Salmo: «Ricòrdati di me, Signore, per amore del tuo popolo, visitami con la tua salvezza».

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