La settimana scorsa sono stati raccolti ben 200 mila euro grazie anche alla nuova campagna “Federalismo solidale”, elaborata dal Gruppopigreco. Un modo concreto per dare risposte al pianto di chi vive nel dramma e si pone domande: ritornerò a lavorare? Come farò a pagare l’affitto, il mutuo, le bollette? I bambini che futuro avranno? Come sarà la mia vita?
di Silvio MENGOTTO
È passato un anno e mezzo da quando il cardinale Dionigi Tettamazi lanciò profeticamente nella Chiesa ambrosiana il Fondo Famiglia-Lavoro, con lo scopo di aiutare le famiglie colpite dalla crisi economica. In questa ultima settimana sono stati raccolti ben 200 mila euro, grazie anche alla nuova campagna “Federalismo solidale” elaborata dal Gruppopigreco.
Intanto si accavallano le storie di vita di chi fa fatica. Come quelle che si sono rivolte allo sportello parrocchiale di S. Michele Arcangelo in Precotto a Milano: qui sono passate storie di uomini e donne che hanno avuto problemi lavorativi e non solo. I nomi citati sono di fantasia, non le storie conosciute, che rimandano a quelle narrate nel documentario Debito di ossigeno.
Fulvia vive nella provincia milanese col figlio di 8 anni e tira avanti con contratti a termine. Daniele e Sabrina, anche loro con un figlio all’asilo, si trovano con un mutuo da pagare nel bel mezzo di una ristrutturazione aziendale di cui ignorano l’esito: licenziamento o riassunzione. Una ventina le domande raccolte, equamente divise tra italiani e stranieri, 11 hanno avuto una risposta positiva. Tutte le persone incontrate sono in cerca di una nuova occupazione. Abbiamo conosciuto i problemi delle famiglie e i loro bambini. Abbiamo visto la casa in cui vivono, piccoli spazi di fortuna, a volte poco riscaldati con affitti elevati, niente lusso, molta sobrietà, povertà e dignità. Come quella di Donatella, di origine filippina, che vive con una figlia minore, fa un pasto al giorno perché così è nella loro cultura.
Allo sportello abbiamo visto soprattutto donne che piangevano la perdita del lavoro e la sofferenza in famiglia. A volte rassegnate, ma desiderose di trovare una via di speranza e riscatto. Il pianto non è solo un moto di commozione, ma percepisce e manifesta che la propria dignità umana è stata ferita. Il pianto non chiede solo aiuto, domanda anche il perché. Lo abbiamo visto negli occhi di Maria e Teresa e in quelli di altre persone che trattenevano le lacrime con dignità. Ritornerò a lavorare? Come farò a pagare l’affitto, il mutuo, le bollette? I bambini che futuro avranno? Come sarà la mia vita? Domande che si ripetono nei colloqui e si ascoltano nel documentario utile per una proiezione e riflessione comunitaria parrocchiale aperta al quartiere.
Non trovare un lavoro dignitoso è come essere derubati dalla propria vocazione esistenziale e le domande si moltiplicano. Qual è la percezione e l’accoglienza dell’altro nella sua nuova condizione di disoccupato, licenziato o in cassa integrazione? Come riprogettare la coppia e la famiglia (spazi, tempi e relazioni)? È bene condividere la nuova situazione con i figli?
Carlo, un cinquantenne licenziato, si chiede se alla sua età riuscirà a trovare una nuova occupazione. Mario, una vita lavorativa non facile, si presenta allo sportello perché licenziato sotto ricatto. Che fare? C’è chi con dignità si vergogna, mai avrebbe pensato di chiedere un aiuto. Stefano mi confida: «Se trovo un lavoro restituisco l’aiuto ricevuto». Tutti hanno bisogno di parlare e comunicare i chiodi che crocifiggono la loro attuale esistenza.
Sono tre i segni di povertà quale conseguenza delle trasformazioni avvenute nel lavoro: la vulnerabilità, l’assenza di reti familiari o amicali, il pericolo dell’esclusione sociale. La vulnerabilità emerge con spessore drammatico nel documentario, come una quotidianità che si fa sempre più insicura: lavoro indeterminato, diminuzione del salario o dell’orario lavorativo, lavoro festivo straordinario che diventa sempre più ordinario, famiglie che si devono accollare cure onerose, una lunga cassa integrazione, il licenziamento. Vulnerabilità come mancanza di futuro nel limbo del presente e che genera smarrimento, paura, ansia e perdita di controllo anche senza un disagio conclamato. Nella parrocchia è importante tessere una rete di amicizie, anche parentali, perché aiutano ad affrontare il problema, a sostenere una famiglia, a lottare contro il carcere della solitudine e dell’emarginazione. Utile l’avvio di una pastorale, di una catechesi che si apra con coraggio al mondo, ancora troppo sconosciuto, del lavoro.