di Giuseppe GUZZETTI
Presidente di Fondazione Cariplo
La crisi finanziaria più grave degli ultimi cento anni, con la forza d’urto centuplicata dalla globalizzazione, dai moderni sistemi di comunicazione, dall’era internet che ha permesso transazioni in ogni parte del mondo, ha provocato danni spaventosi all’economia reale planetaria, e quindi ai singoli individui, alle famiglie, alle comunità, agli Stati. Non abbiamo ricette preconfezionate per “uscire dalla notte”. Abbiamo però i principi e i valori. Viviamo perciò questo periodo come un’eccezionale opportunità per sperimentare soluzioni e per rivalutare metodi accantonati perché magari ritenuti obsoleti.
Abbiamo avuto la fortuna di trovare migliaia di sentinelle silenziose che, dentro la rete di solidarietà legata al volontariato, hanno saputo essere àncore di salvataggio per coloro che nel frattempo venivano trascinati via dal ciclone; queste sentinelle sono diventate il baluardo per evitare la completa disperazione di chi si trovava in difficoltà. Di fronte al fallimento del sistema ci si è resi conto del grande valore assunto dai corpi intermedi della società, dal Terzo settore, da quelle organizzazioni che non ottenevano giusto riconoscimento perché non riuscivano a tradurre il loro valore in termini di efficienza e di performance. Nei momenti di difficoltà questo valore è emerso, incardinato in un concetto che, qualche tempo fa, appariva anch’esso di difficile comprensione: sussidiarietà, che significa intervento puntuale nel sopperire alle mancanze del pubblico e del privato.
Il terzo pilastro reggeva già il peso di un intervento pubblico sempre più asfittico e caratterizzato dalla mancanza di risorse. La crisi ha fatto vacillare anche il secondo pilastro, il settore privato, messo in ginocchio dagli effetti della recessione. In gioco c’è la coesione sociale: in Lombardia, da sempre locomotiva trainante dell’economia del Paese, la povertà e il degrado fisico e culturale si toccano con mano; le periferie delle città sono sempre più distanti dal centro, abbandonate alla propria sorte, con una forbice che va dilatandosi sempre di più. Chi deve tenere insieme questo tessuto che si sta progressivamente sfilacciando?
Le Fondazioni di origine bancaria – in Lombardia, la Fondazione Cariplo – hanno dimostrato con coerenza di svolgere il compito loro affidato; anche quando, da un lato, hanno accettato di sostenere il sistema delle banche, in difficoltà, per salvaguardare un elemento di stabilità che nessun altro Paese può vantare, giocando un ruolo di operatore economico con ragionata fiducia nel sistema e nel futuro; e dall’altro hanno continuato a supportare il Terzo settore e le organizzazioni di volontariato, mettendo a disposizione durante l’annus horribilis molte più risorse degli anni precedenti.
L’esperienza del Fondo Famiglia-Lavoro lanciato dal cardinale Dionigi Tettamanzi – al quale Fondazione Cariplo ha garantito appoggio con ulteriori risorse anche per il 2011 – ha dimostrato l’efficacia di un modello in grado di generare un effetto moltiplicatore in tutti: con il primo milione di euro di dotazione iniziale, di riuscire ad arrivare a raccogliere dieci volte tanto. Altre Diocesi della nostra regione hanno promosso iniziative analoghe, alle quali abbiamo assicurato un sostegno economico con le Fondazioni comunitarie che operano in ciascuna provincia. Tutto questo non sarebbe stato possibile se non vi fosse stato qualcuno, il Cardinale, in grado di incarnare con la forza della credibilità che l’impresa da impossibile avrebbe potuto divenire possibile.
E non sarebbe stato realizzabile il percorso compiuto sino a oggi, se non si fossero mobilitati i Centri d’ascolto della Caritas, delle sedi decentrate delle Acli, i volontari che hanno seguito le oltre 6 mila richieste d’aiuto, di cui circa 5 mila hanno avuto esito positivo con una ricaduta di effetti concreti per famiglia cui fanno riferimento circa 20 mila persone. Abbiamo vissuto la difficoltà con cui le persone hanno dovuto accettare l’ingrato obbligo di dover chiedere, mettendo da parte il legittimo orgoglio.
Eppure questo non può più bastare. Il terzo pilastro ha dimostrato di essere importante, ma il primo – lo Stato – non può pensare di venire meno ai propri impegni e il secondo – il privato, le imprese, le banche…- ha compreso, purtroppo lasciando numerose vittime sul campo, quanto sia effimero un sistema economico basato sul mero profitto, privo di visioni a lungo termine e affannato nella ricorsa di risultati nel breve. Tutto questo non paga. Le parole “responsabilità sociale di impresa” ed “etica” vengono utilizzate in molti contesti, ma hanno una sola radice: la responsabilità verso l’uomo, il territorio e l’ambiente in cui viviamo, non solo verso quello circostante, ma che si espande al resto del mondo. La notte – che sta passando, che passerà, ne sono certo – ci lascia un incubo, ma anche un sogno: che da questa esperienza nasca un nuovo sistema di Welfare, che si costruisca un nuovo rapporto tra politica, economia e Terzo settore; che si generi un nuovo sistema in grado di fornire servizi territoriali alle famiglie, alle persone, ai giovani, agli anziani, agli stranieri. Abbiamo l’esigenza di trasformare quello che lo shock ha prodotto come risultato: un’esperienza dell’emergenza che deve diventare una presenza nella normalità.