At 28,1-10; Sal 67; Gv 13,31-36 «Simon Pietro gli disse: “Signore, dove vai?” Gli rispose Gesù: “Dove io vado, tu per ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi”». (Gv 13,36) Il buio di uno degli amici che se ne va, e tradirà; la fatica e la sofferenza di un distacco imminente e traumatico; lo smarrimento di chi intuisce che una lunga storia comune sta per finire, ma non sa come né perché, né che cosa verrà, dopo. Tutto questo agita il cuore del Maestro, di Pietro, dei suoi Undici (Giuda è appena uscito, inghiottito dalla sua notte: 13,30) riuniti per l’ultima volta. Gesù consegna il suo testamento supremo, quel “comandamento nuovo” che si aggiunge a tutti i precedenti e li sintetizza in modo definitivo: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». Pietro non ha – ancora – orecchi per questa Parola che dovrà segnare la sua vita e il suo ruolo per sempre; sarà lui il primo testimone, e capo della comunità dei testimoni di Gesù. Con la sensibilità dell’amico, con l’impulsività propria del suo carattere, ha colto una cosa sola nelle parole del Maestro: ha detto che sta per andarsene. Non è la prima volta che Gesù si allontana, solo, o che sfida insieme ai suoi l’ostilità dei Giudei. Ma questa volta è diverso: non servirà, questa volta, l’impeto generoso di chi dice «darò la mia vita per te» (13,37). Adesso, davvero, la dimensione che Gesù dovrà attraversare per primo va oltre la morte: come per Pietro, anche a noi toccherà, più tardi. Quando Dio vorrà. Ma se saremo “rimasti in lui” la morte, anziché separarci, ci riunirà a lui per sempre, grappolo maturo della vite sempre viva. Preghiamo Padre, quelli che mi hai affidato – dice il Signore – voglio che siano anch’essi dove sono io, perché vedano la gioia che mi hai dato. Alleluia. [da La Parola di ogni giorno, Ragione della nostra libertà – Pasqua 2010, Centro Ambrosiano]