DOMENICA DOPO L’ASCENSIONE Gv 20,1-8; At 7,48-57; Sal 26; Ef 1,17-23; Gv 17,1b.20-26 «Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto, ma io ti ho conosciuto, e questi hanno conosciuto che tu mi hai mandato. E io ho fatto conoscere loro il tuo nome e lo farò conoscere, perché l’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro». (Gv 17, 25-26) Come Mosè aveva concluso il suo lungo discorso di addio agli Israeliti con una preghiera di benedizione (cf. Deut 33), così Gesù, nel momento del commiato dai suoi, pronuncia quella che è stata chiamata la “preghiera sacerdotale”. È il suo testamento, ciò che di più prezioso lascia ai suoi. Rivelare il vero volto del Padre è opera di salvezza, perché consente di liberarsi da tutte le immagini distorte di Dio che l’uomo costruisce dentro di sé – e che lo rendono schiavo delle sue paure – per condurlo a vivere nella libertà dei figli di Dio. Il Padre è “giusto” perché ci giustifica: ama i suoi figli in mo do incondizionato. Gesù desidera che anche i suoi discepoli sperimentino questo amore gratuito e liberante che lo unisce al Padre. Solo così potranno essere dove è lui, e conoscere il vero nome di Dio. Se l’amore del Padre abiterà in noi, nessuno potrà strapparci dalla sua mano, nemmeno la morte. Per sei volte, in questa lunga preghiera, Gesù invoca il Padre, e attende che ciascuno di noi, per la settima volta, si rivolga a Dio chiamandolo con lo stesso nome. Il nostro cammino di figli e discepoli è tutto qui: imparare a rivolgerci a Dio chiamandolo Padre, sentendoci figli, fratelli del Figlio dell’Uomo e tra noi. Preghiamo Il Signore è mia luce e mia salvezza: di chi avrò timore? Il Signore è difesa della mia vita: di chi avrò paura? (dal salmo 26) [da La Parola di ogni giorno, Ragione della nostra libertà – Pasqua 2010, Centro Ambrosiano]

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