At 4,32-37; Sal 132 (133); 1Cor 12,31-13,8a; Gv 13,31b-35 «E se anche dessi in cibo tutti i miei beni e consegnassi il mio corpo per avere vanto, ma non avessi la carità, a nulla mi servirebbe». (1Cor 13,3) Le letture domenicali si intrecciano attorno al tema della carità, dell’amore tra coloro che hanno accolto l’annuncio della Buona Notizia. L’“inno alla carità” dell’apostolo Paolo sembra raccordare il racconto degli Atti, con l’energia del “comandamento nuovo” dell’amore reciproco: quello consegnato da Gesù a coloro che ha voluto chiamare “amici”, mentre lavava loro i piedi e insieme annunciava che proprio uno di loro l’avrebbe consegnato alla morte (Gv cap.13). Quel comandamento sta già dando il frutto annunciato: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri». Gesù, il Maestro, non ci ha consegnato nessun altro distintivo per farci riconoscere come suoi discepoli: non il certificato di battesimo, non un crocifisso appeso al collo o al muro, non una formula da recitare a memoria. Conta solo la disponibilità di mettersi a servizio gli uni degli altri. Paolo è ancora più radicale: neppure i gesti estremi della spoliazione dei propri beni o del martirio salvano, di per sé soli: e con questo spazza via ogni tentazione di fanatismo integralista. Ci salva solo una piena, libera offerta di noi stessi all’amore concreto, capace di lavare i piedi a coloro che con noi accolgono la notizia del Vangelo, riconosciuti come fratelli. Preghiamo Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme! È come rugiada dell’Ermon che scende sui monti di Sion. Perché là il Signore manda la benedizione, la vita per sempre. (dal salmo 132) [da"La Parola di ogni giorno, Ragione della nostra libertà – Pasqua 2010", Centro Ambrosiano]