At 22,23-30; Sal 56 (57); Gv 10,31-42   «“Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi, ma se le compio, anche se non credete a me, credete alle opere, perché sappiate che il Padre è in me, e io nel Padre”. Allora cercarono nuovamente di catturarlo, ma egli sfuggì dalle loro mani ». (Gv 10, 27-39) È inverno, e a Gerusalemme ricorre la festa della Dedicazione. A Gesù che passeggia con i suoi nel Tempio sotto il portico di Salomone, i Giudei insistono nel chiedere se sia lui il Cristo che attendono. «Ve l’ho detto e non credete» risponde Gesù, esprimendo l’amarezza del pastore che chiama le pecore, ed esse vanno randagie. Non riconoscono la sua voce, perché non conoscono Lui: non sono del suo gregge (Gv 10,22-30), dice il Maestro. Non si è suoi discepoli per diritto di nascita – intende Gesù – ma perché si ha il coraggio di guardare in faccia la verità delle sue opere. Chi riconosce in Gesù le opere del Padre, chi senza pregiudizi vede il suo agire – in favore di chi soffre, di chi si sa peccatore e chiede perdono –, legge nei suoi gesti la misericordia gratuita di Dio e lo segue con gioia, non teme di farsi pecora amata, curata, del suo gregge. Come i Giudei, chi rimane barricato nei propri pregiudizi, nell’orgoglio di chi crede di sapere tutto di Dio e della sua giustizia, invece vorrebbe farlo sparire, farlo tacere: e così si mette da sé fuori dal gregge, lontano dalla mano del Pastore che guida, dalla sua voce che rassicura, dal suo sguardo che ci conta uno ad uno, per nutrirci e proteggerci. Preghiamo Saldo è il mio cuore, o Dio, saldo è il mio cuore. Voglio cantare, voglio inneggiare. svegliati mio cuore, svegliatevi, arpa e cetra, voglio svegliare l’aurora. (dal salmo 56) [da La Parola di ogni giorno, Ragione della nostra libertà – Pasqua 2010, Centro Ambrosiano]

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