At 5,12-16; Sal 47; 1Cor 12,12-20; Gv 3,31-36 «Sempre più venivano aggiunti credenti al Signore, una moltitudine di uomini e di donne, tanto che portavano gli ammalati persino nelle piazze, ponendoli su lettucci e barelle, perché quando Pietro passava, almeno la sua ombra coprisse qualcuno di loro». (At 5,14-15) Non è difficile ravvisare nell’esperienza della prima Chiesa il calco esatto dell’esperienza di Gesù, dei suoi tre anni di vita pubblica, in mezzo a una folla che si ingrossa di giorno in giorno, attratta da parole dette con un’autorevolezza che non ha eguali, da prodigi che corrono di bocca in bocca. A Pietro, che gli infermi cercano, portati da parenti e ami ci speranzosi, perché anche solo la sua ombra li sfiori – come già qualcuno cercava di toccare anche solo il lembo del mantello di Gesù (Mc 5,25-34) –, chissà quante volte sarà tornata in mente quella volta che addirittura scoperchiarono il tetto della povera casa di Cafarnao in cui il Maestro era ospite, purché il lettuccio di un paralitico potesse esser calato davanti ai suoi occhi (Mc 2,1-5…). E certamente né a Pietro né ai Dodici poteva sfuggire ciò che anche allora Gesù aveva spiegato: è più facile liberare un corpo dalle sue infermità, che liberare dal profondo un cuore dal peccato, dall’assenza di Dio (…Mc 2,6-12). Non è il bagno di folla l’obiettivo, né di Gesù, né dei discepoli, ma la conversione dei cuori. Un corpo guarito è pronto ad essere riconsegnato prima o poi alla morte. Un cuore guarito nel nome di Gesù, riceve la vita che non muore, e la comunica a chi avvicina. Preghiamo Come il tuo nome, o Dio, così la tua lode si estende sino all’estremità della terra. Questo è Dio, il nostro Dio in eterno e per sempre. (dal salmo 47) [da La Parola di ogni giorno, Ragione della nostra libertà – Pasqua 2010, Centro Ambrosiano]