At 4,23-31; Sal 2; Gv 3,22-30 «E ora, Signore, volgi lo sguardo alle loro minacce e concedi ai tuoi servi di proclamare con tutta franchezza la tua parola… Quand’ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò e tutti furono colmati di Spirito Santo e proclamavano la parola di Dio con franchezza». (At 4,29-30) Pietro, Giovanni e i discepoli sanno bene che i prodigi che avvengono per mano loro non sono opera loro, che le parole che escono loro di bocca non sono frutto della loro intelligenza di uomini. Hanno piena consapevolezza che è una grazia concessa da Dio, che è la Sua volontà ad aver scelto loro. Sarà Dio, se lo vorrà, a metterli al sicuro dalle minacce dei capi di Israele, tanto più potenti e armati. Lo sanno perché hanno viva memoria della loro paura, i primi giorni dopo la resurrezione di Gesù, della loro esitazione a fidarsi di ciò che pure con i loro occhi avevano visto e con gli orecchi sentito, e con il cuore avvertito. Hanno piena consapevolezza della propria fragilità e debolezza. Ma hanno vissuto la trasformazione potente del giorno di Pentecoste (At 2,1-13), quell’improvvisa, straordinaria capacità data a ciascuno di parlare in tutte le lingue, e di dire Verità senza barriere. La loro forza è fare la volontà di Dio, dire la verità di Dio. La stessa forza di Gesù. E allora di nuovo invocano la forza di Dio nella propria umana fragilità: e ancora la sperimentano, ricevendo un’altra volta il dono del suo Spirito. Dio lo concede, a chi lo chiede. Preghiamo Voglio annunciare il decreto del Signore Egli mi ha detto: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato. Chiedimi e ti darò in eredità le genti e in tuo dominio le terre più lontane. (dal salmo 2) [da La Parola di ogni giorno, Ragione della nostra libertà – Pasqua 2010, Centro Ambrosiano]

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