Il Cardinale ha incontrato questa mattina i giornalisti nel tradizionale appuntamento in occasione della festa del patrono della categoria, San Francesco di Sales. A dialogare con lui, il direttore de “Il Sole 24 ore” Roberto Napoletano
di Stefania CECCHETTI
Responsabilità e verità. Crisi e speranza. Sono state queste le parole chiave del dialogo tra il cardinal Angelo Scola e il direttore de “Il Sole 24 ore” Roberto Napoletano, che si è tenuto stamattina presso l’Istituto dei ciechi di Milano in occasione della tradizionale festa del patrono dei giornalisti, San Francesco di Sales.
Sul tema della “verità” il cardinale ha aperto il suo intervento, con tre bellissime e attualissime citazioni proprio da Francesco di Sales, ricordando che il santo, vescovo di Ginevra in “esilio” ad Annecy in seguito all’avvento della Riforma Protestante, è stato scelto come patrono della categoria per l’efficace invenzione dei “manifesti”, fogli di informazione per i fedeli che lui stesso redigeva e recapitava capillarmente di porta in porta. Embrioni della moderna comunicazione di massa.
Scrive il San Francesco di Sales nella sua opera “Filotea”: «Quando parlo del prossimo, la mia bocca nel servirsi della lingua è da paragonarsi al chirurgo che maneggia il bisturi in un intervento delicato tra nervi e tendini: il colpo che vibro deve essere esattissimo nel non esprimere né di più né di meno della verità». E ancora: «Il tuo modo di parlare sia pacato, schietto, sincero, senza fronzoli, semplice e veritiero. Tieniti lontano dalla doppiezza, dall’astuzia e dalle finzioni. È vero che non tutte le verità devono sempre essere dette; ma per nessun motivo è lecito andare contro la verità». E infine: «Bisogna sempre dare l’interpretazione più benevola del fatto. Se un’azione avesse cento aspetti, tu ferma sempre la tua attenzione al più bello. L’uomo giusto, quando non può scusare né il fatto né l’intenzione di chi sa per altre vie essere uomo per bene, rifiuta di giudicare, se lo toglie dallo spirito, lascia a Dio solo la sentenza. Quando non ci è possibile scusare il peccato, rendiamolo almeno degno di compassione, attribuendolo alla causa più comprensibile che si possa pensare, quali l’ignoranza e la debolezza».
Proprio in nome di questa verità, che non travalica mai i suoi confini diventando giudizio, Scola ha richiamato la necessità, per i giornalisti, di prendere i fatti con la dovuta distanza critica: «Non dobbiamo mai dimenticare che ci sono sempre un “prima” e un “oltre” rispetto all’avvenimento. Bisogna guardarsi da due grossi nemici: la falsa oggettività e la verosimiglianza». La prima ci dà l’illusione di poter parlare a prescindere dai nostri pregiudizi, quando invece, sottolinea il cardinal Scola, «il pre-giudizio è inevitabile, quello che conta è come questo viene enunciato e vissuto. Il segreto è smarcarsi, dichiarando subito da quale punto di vista si parte».
La verosimiglianza, invece, è quell’abbaglio per cui prendiamo per vero ciò che lo sembra soltanto. E qui il cardinal Scola si è concesso qualche battuta, che ha suscitato l’ilarità della platea, circa la sua amicizia con Formigoni (lecchese come lui) e la sua vicinanza al movimento Comunione e liberazione. Questioni da sempre al centro dell’attenzione di molti media, più che mai dopo il suo arrivo a Milano: «Da più di vent’anni, cioè da quando sono Vescovo, non ho più avuto nulla a che fare con la dirigenza del movimento. Ma vallo a spiegare ai giornalisti che non conosco nessuno dei militanti che abbia meno di sessant’anni», ha detto il cardinale. E quanto all’amicizia con Formigoni, ha liquidato l’argomento confessando di incontrarlo «sì e no una volta all’anno».
Battute che danno l’idea del clima di cordialità reciproca in cui si è svolto l’incontro. Tanto che Scola si è anche preso la libertà di rimproverare scherzosamente i giornalisti e la loro tendenza a “travisare” le notizie a proprio vantaggio, prendendo spunto da quanto il cardinal Martini ha scritto sull’argomento nel suo recente libro “Il Vescovo”.
La responsabilità che grava sui professionisti della comunicazione è stata al centro anche dell’intervento di Napoletano, che innanzi tutto ha voluto ricordare quella che si è assunto in prima persona come direttore del principale quotidiano economico nazionale. Un giornale che si è sempre distinto per la sua vocazione «ad assicurare un racconto il più possibile veritiero del Paese», occupandosi di una materia per molti ostica come l’economia sempre con uno sforzo divulgativo. Ma secondo direttore del “Sole” la responsabilità è richiesta in ogni professione, non solo in quella giornalistica. In primis è richiesta di questi tempi ai nostri governanti: «Nell’emergenza così dura che ha vissuto l’Italia nei giorni della formazione del Governo Monti il “Sole” si è permesso di dire che era necessaria una prova di responsabilità della classe politica in nome della causa italiana», ha detto Napoletano.
Da qui la domanda che il direttore ha rivolto in forma diretta all’Arcivescovo: «In questa fase di crisi acuta non tutte le categorie pagano lo stesso prezzo. Quali devono essere le priorità del Paese?». Il cardinale Scola ha individuato nella speranza la chiave per uscire da questo momento difficile, insistendo particolarmente sulla sua dimensione sociale di questa speranza: «Come possiamo ogni mattina trovare la forza per uscire dalle nebbie del sonno e ripartire? È possibile solo riusciamo a lasciare l’inconscio notturno, popolato di angosce passate e di preoccupazioni per gli impegni che ci attendono, per far riaffiorare alla coscienza il fondo del nostro “io” e guardare al futuro, a quello che di buono la giornata ci può riservare».
Ma, mette in guardia l’Arcivescvo, la speranza non è solo un piccolo sguardo in avanti. Come ha sottolineato il Papa nella sua enciclica “Spe salvi”, abbiamo la necessità di una “speranza affidabile”. Che tradotto in parole più semplici significa «avere qualcuno con il quale possiamo essere spudoratamente noi stessi». Eccoci arrivati alla dimensione sociale: «La speranza “affidabile” presuppone sempre che si parli dell’io come “io-in-relazione”. L’altro è una dimensione interna all’io. Noi nasciamo all’interno di una relazione. Tanto è vero che nessuno potrà mai auto-generarsi».
È in quest’ottica che vanno inquadrate tutte le domande spinose che questo tempo di crisi pone nelle mani dei giornalisti. Quesiti che i presenti hanno esplicitamente rivolto all’Arcivescovo, a partire dal direttore Napoletano, che lo ha sollecitato ad esporre la sua opinione in particolare sul dramma dei giovani senza futuro lavorativo e dei cinquantenni che perdono il posto.
Premettendo che non è compito della Chiesa prendere una posizione specifica sugli avvenimenti, quanto piuttosto annunciare la centralità di Dio ella vita degli uomini, Scola ha esortato i nostri governanti ad avere il coraggio di grandi cambiamenti a favore dei giovani , perché non siano privati delle opportunità cui hanno diritto: «Ai giovani dico sempre: diffidate di chi vi dice che siete il futuro del Paese, perché per diventare il futuro prima dovete essere il presente», ha sottolineato Scola, raccontando anche dei giovani ricercatori, molti dei quali italiani, incontrati di recente durante una visita al Cern di Ginevra. Il cardinale Scola ha anche sottolineato la centralità dell’istruzione nella costruzione del futuro dei nostri ragazzi: «So che si tratta di un tema controverso, ma voglio ribadire ancora il mio essere a favore della scuola libera. E dico “libera” e non “privata”, perché la scuola non può mai essere una cosa privata».
E sul dramma di chi si ritrova senza lavoro a metà della propria carriera, ancora lontano dall’età della pensione, l’Arcivescovo ha detto: «È un problema che ho toccato con mano nella mia vicinanza agli operai di Marghera. Come era solito sottolineare il mio predecessore, il cardinale Tettamanzi, dico che tutti noi fedeli dobbiamo rimboccarci le maniche per sostenere queste situazioni». Ma il cardinale ha anche sottolineato che i guai nostrani non devono essere la scusa per far calare l’attenzione sui drammi, spesso ancora più terribili, che si vivono in altre parti del mondo.
Un argomento, questo, che conduce a un altro dei temi forti trattati durante il dibattito: la difficoltà del giornalista di selezionare cosa deve di diventare notizia e cosa no. Il rischio è quello che tutti abbiamo sott’occhio, che la brutta notizia, “il patologico”, abbia la meglio sul “fisiologico”, cioè sulle buone notizie. Cosa ci dice la Chiesa in proposito, si è domandato uno dei professionisti presenti. La risposta, secondo l’Arcivescovo, sta ancora nella capacità di uno sguardo distaccato sulle circostanze: «Ci sono fattori in campo che non sono riconducibili solo a ciò che appare», ha risposto Scola, richiamando ancora una volta a uno dei temi portanti del suo intervento: la centralità della verità.