�Sacr.mo Cuore di Gesù - Solennità del Signore
La devozione al Sacro Cuore è apparentemente tardiva nella storia della Chiesa, in quanto non si configura come tale che alla fine del XVII secolo, in seguito alle rivelazioni di santa Margherita Maria Alacoque, religiosa della Visitazione e al movimento che ne seguì. Ma le sue radici sono molto più antiche. I Padri della Chiesa, principalmente in Occidente, sviluppano il tema della Chiesa come la nuova Eva che nasce dal costato di Cristo, vedendo nel sangue e nell’acqua che escono dalla ferita aperta dalla lancia del soldato l’annuncio del battesimo e dell’eucaristia. I mistici poi del XII secolo passarono dalla contemplazione delle piaghe di Gesù a quella del suo Cuore divino: tutto l’amore di Dio ha fatto battere il cuore di un uomo-Dio, quello di Gesù. San Bernardo scrive: “Il segreto del suo cuore appare a nudo nelle piaghe del suo corpo; si vede allo scoperto il mistero dell’infinita bontà”. Nel XIII secolo, secondo la sensibilità dell’epoca, coltivano l’esperienza dell’umanità di Gesù alcune espressioni della mistica femminile come santa Metilde e santa Geltrude, monache cistercensi di Helfta. La devozione poi si diffonde tra i figli di san Francesco e gli altri ordini religiosi, fino ai primi gesuiti e passa nel culto pubblico in diversi luoghi della Francia, finché nel 1856 la festa è estesa alla Chiesa universale. Ossi si ricorda San Mosè l’Etiope Il Martirologio Romano, e sinassari bizantini ricordano in questo giorno Abba Mosè, un padre del deserto egiziano del IV secolo (332-407 circa). Nero di pelle, e di statura gigantesca, approda alla vita monastica dopo burrascose esperienze (era di indole violenta, capo di una banda di ladroni) nella sua terra, l’Etiopia, di cui è considerato il primo monaco. Si fa discepolo di Macario il Grande e Isidoro Presbitero. L’umiltà e l’intensa misericordia segnano la sua radicale conversione. Essendo di pelle nera, egli si considerava all’ultimo posto, come straniero; molti, tra i più belli, degli apoftegmi dei Padri del deserto lo hanno come protagonista umilissimo. Cassiano nelle sue conferenze lo cita spesso come “il più grande di tutti i santi” (Conferenze, X.25). Poemen dice che “dalla terza generazione di Scete e dal padre Mosè i fratelli non hanno fatto più progressi” (Apoftegmi, Poemen, 166). Secondo i testi agiografici bizantini morì martire, ucciso da un’orda di barbari a cui non volle sottrarsi con la fuga dal suo eremo.