SS. Trinità - Solennità del Signore
Solennità introdotta nella Chiesa d’Occidente dopo una lunga e travagliata preistoria, iniziata con tracce di testi liturgici già nel sacramentario gelasiano (VII secolo). Tale festa di devozione si diffonde nei secc. IX-XIV, soprattutto nei monasteri, in Gallia e in Germania. Alcuino nell’800 ne compose un formulario completo, che ben presto si afferma anche altrove, all’inizio o alla fine delle domeniche dopo Pentecoste. All’inizio X secolo, Stefano di Liegi compone una liturgia delle ore che rimane la base dell’ufficiatura della festa. Ma tutta la liturgia nell’espressione quotidiana della preghiera (a partire dal ‘segno della croce’) è lode e adorazione della SS. Trinità. Per questo già papa Alessandro II († 1073) è perplesso su una festa particolare della SS. Trinità “poiché, propriamente parlando, essa è onorata ogni giorno nella salmodia con il Gloria Patri” (cfr. già la regola di san Benedetto, c. IX,7). È accolta nel calendario romano nel 1334 da papa Giovanni XXII, avignonese, e la data viene fissata nella prima domenica dopo Pentecoste. Sono riconoscibili tracce delle controversie teologiche medioevali nel prefazio e nell’eucologia in genere. Le chiese d’Oriente non hanno una festa specifica della SS. Trinità. “Signore Dio mio, unica mia speranza, esaudiscimi, perché non mi stanchi di cercarti, ma sempre con cuore ardente cerchi il tuo volto. Un certo sapiente, chiamato Ecclesiastico, parlando di te, dice nel suo libro: Potremmo parlare molto senza mai arrivare: la conclusione di tutti i discorsi è che lui è tutto. Quando saremo arrivati a te, finirà questo ‘molto parlare senza arrivare’, tu solo rimarrai allora tutto in tutti; e ti loderemo senza fine con una sola parola, unificati anche noi in te” (Sant’Agostino, Trattato ‘Sulla Trinità’). Oggi si ricordano i santi Gervaso e Protaso Di Protaso e Gervaso, antichi martiri della Chiesa di Milano, Ambrogio (lo racconta nella sua Lettera 77a alla sorella Marcellina) trovò le spoglie mortali presso la piccola chiesa cimiteriale dedicata ai santi Nabore e Felice (zona cimiteriale di Porta Vercellina). Venerdì 19 giugno dell’anno 386, consacrando il tempio che ora porta il suo nome, il santo vescovo depose le preziose reliquie sotto l’altare, in un loculo che aveva fatto predisporre per la propria sepoltura. In quell’occasione, l’esaltazione dei martiri – di cui fu testimone Agostino – contribuì a confortare la comunità cattolica di Milano, duramente provata dall’opposizione degli ariani. La traslazione delle reliquie di questi martiri, fatta da Ambrogio a scopo liturgico a esempio di analoga prassi nelle Chiese d’Oriente, ebbe influsso notevole in tutta la Chiesa d’Occidente, nella storia del culto dei santi e delle loro reliquie. La data del rinvenimento dei loro corpi entrò ben presto nei più importanti calendari e sacramentari, e sorsero leggendarie narrazioni della loro passione. I due martiri ricevettero molte raffigurazioni nell’arte cristiana antica. I corpi dei due testimoni di Cristo, insieme con quello di Ambrogio, rimasero per molti secoli nascosti agli occhi di tutti, fino all’8 agosto 1871, quando riscoperti, poterono di nuovo essere posti in onore nella cripta della basilica ambrosiana, dove sono circondati da grande venerazione.